L’equitazione alle Olimpiadi: Una disciplina fuori dal comune

L'equitazione alle Olimpiadi

Tokyo 2021

Alla vigilia dei giochi olimpici di Tokyo 2021, la lunga lista di discipline che fanno parte della
manifestazione, ne presenta una dalle caratteristiche assolutamente uniche: l’equitazione.

Le discipline equestri sono infatti le uniche che prevedono, tra tutti gli sport olimpici, la partecipazione di un animale al fianco dell’atleta e il binomio che si va a creare prende parte alla gara come un singolo. Questo denota una difficoltà in più rispetto alle competizioni in altri ambiti: la performance finale, quella che si ottiene con anni di lavoro, dedizione e fatica, non dipende più interamente dal singolo atleta. È infatti insieme al cavallo che si va a costruire la differenza che porterà alla vittoria un binomio rispetto ad un altro.

Spesso il primo dettaglio che salta all’occhio guardando una gara di equitazione di livello olimpico è la
spettacolarità: l’altezza degli ostacoli, la velocità e la potenza dell’animale, l’armonia del movimento.

Cos’è che però non si vede subito, nascosto dietro alle migliori performances? La sintonia, il rapporto che si instaura tra uomo e animale, l’elemento alla base di ogni prestazione vincente.

L’equitazione fa la sua comparsa ai giochi olimpici di Parigi nel 1900; inizialmente potevano gareggiare
solamente i militari di un certo rango di genere maschile che, ottenute le qualifiche necessarie, potevano
accedere alla competizione, escludendo tutti i ranghi inferiori e le donne.

Il 1952 rappresenta una svolta:la partecipazione alle competizioni viene aperta a tutti senza distinzioni di rango o genere, anche se alle donne viene permesso solo l’accesso alla prova di dressage.
Tra tutte, il nome che spicca è quello di Isabell Werth, atleta tedesca che detiene il titolo di olimpionica più premiata nelle categorie equestri con le sue cinque partecipazioni olimpiche, dal 1992 ad oggi, grazie alle quali ha conquistato un totale di 10 medaglie. Persino il suo cavallo, Nissan Gigolo, è tuttora uno tra i cavalli più vincenti ai giochi olimpici.

Un’altra partecipazione degna di nota è quella della principessa Anna, figlia della regina Elisabetta II e primo membro della famiglia reale inglese a gareggiare alle Olimpiadi, a Montreal 1976. Oggi è sua figlia, Zara Phillips, a continuare la tradizione da professionista, annoverando tra le sue tante esperienze anche le due uscite olimpiche di Londra 2012 e Rio 2016. Se finora abbiamo visto solo donne stabilire record importanti in questo sport, è invece di un uomo il titolo di
atleta più anziano: si tratta del cavaliere australiano Pongracz de Szent-Miklos, che a 72 anni, in sella al suo Ovar, ha gareggiato a Berlino nel 1936. È inoltre interessante notare come questi atleti gareggino fianco a fianco: nell’equitazione, infatti, è scomparsa ogni divisione di genere dal 1964, anno in cui vengono ammesse le donne in tutte le discipline olimpiche, che oggi sono il salto ostacoli, il dressage e il concorso completo. Da segnalare che alla loro prima apparizione, le discipline erano salto ostacoli, polo, salto in alto e salto in lungo. In queste discipline l’Italia conquistato ben 23 medaglie, ripartite tra salto ostacoli e completo, che iniziano con quelle d’oro e d’argento di Giovanni Giorgio Trissino, Parigi 1900.

Degne di nota sono anche le imprese dei fratelli Raimondo e Piero D’Inzeo, vincitori di 6 medaglie a testa nel salto ostacoli. L’ultima vittoria olimpica italiana risale a Mosca 1980, quando Federico Roman porta la bandiera tricolore sul gradino più alto del podio nel concorso completo.

Guardando a Tokyo 2021, sappiamo già che l’Italia non presenterà dei binomi in tutte e tre le prove ma solo in completo e salto ostacoli.

È prematuro dire se questa edizione possa riservare delle sorprese: l’arrivo della torcia olimpica metterà comunque fine all’attesa di nuove e avvincenti sfide tra cavalieri di tutte le nazioni.

 

Chiara Luccioli

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