Dal 28 maggio al 29 agosto 2021 Palazzo Strozzi ospita American Art 1961-2001. Le collezioni del Walker Art Center da Andy Warhol a Kara Walker, a cura di Vincenzo de Bellis (Curator and Associate Director of Programs, Visual Arts, Walker Art Center) e Arturo Galansino (Direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi).

Roy Lichteinstein (New York 1923-1997), “Artist’s Studio No. 1 (Look Mickey)”, 1973, olio, vernice Magna, sabbia su tela, cm 244,2×325,4.
Minneapolis, Walker Art Center.
Dono Judy e Kenneth Dayton e T.B. Walker Foundation, 1981.
La mostra celebra l’arte moderna degli Stati Uniti d’America attraverso oltre 80 opere di artisti del calibro di Andy Warhol, Mark Rothko, Roy Lichtenstein, Robert Mapplethorpe, Cindy Sherman e Kara Walker. Molti di questi capolavori (dipinti, fotografie, video, sculture e installazioni) fanno il proprio ingresso in Italia per la prima volta grazie alla collaborazione con il Walker Art Center di Minneapolis, considerato da molti un “museo-culto”. L’esposizione propone un percorso attraverso opere di personalità e movimenti importanti che hanno segnato l’arte americana tra due momenti storici decisivi, ovvero l’inizio della Guerra del Vietnam e l’attacco dell’11 settembre 2001: dalla Pop Art al Minimalismo, dalla Conceptual Art alla Pictures Generation, fino alle più recenti ricerche degli anni Novanta e Duemila. Si tratta di una vera e propria rilettura di quarant’anni di storia, che affronta tematiche come lo sviluppo della società dei consumi, la contaminazione tra le arti, il femminismo, la lotta per i diritti civili e la pena di morte.
L’ “American Dream”, che ha assunto sfaccettature diverse nel tempo, costituisce un motore ideologico degli Stati Uniti fin dalla loro nascita, meta e sogno a cui hanno aspirato molte persone. Una sorta di “Nuovo Mondo” in grado di cambiare il proprio status sociale ed economico attraverso il lavoro e l’impegno, desiderando raggiungere con le proprie capacità il successo e la felicità.
Il percorso espositivo inizia dalla prima sala (Changes), che rappresenta un ponte tra passato e futuro, tra Vecchio e Nuovo Mondo. Incontriamo artisti come Louise Nevelson, Mark Rothko, e ancora Joseph Cornell e Bruce Conner. Nella seconda sala (Pops) incontriamo il periodo della Pop Art americana, segno identificativo di un’epoca, il mito del “sogno americano” in grado di dare risalto alla società e alla vita quotidiana. L’intento è quello di portare l’arte a confronto diretto con la realtà, privandola della mediazione personale e rendendola anonima tramite reiterazione e ripetitività. Protagoniste in questa sezione sono le opere di Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Oldenburg e Robert Indiana. Nella terza sala a-b (Crossing Boundaries) vediamo le opere di quattro icone dell’arte americana: Merce Cunningham, John Cage, Robert Rauschenberg e Jasper Johns. Si rievocano le più importanti collaborazioni tra queste personalità che hanno rivoluzionato danza, musica e arte visiva. In questo modo, nasce un nuovo modello di interazione tra differenti discipline. La prima parte della sala accoglie anche un focus su Ellsworth Kelly. Nella quarta sala (Less is more) Minimal e Pop, in opposizione all’Espressionismo astratto, risultano le principali tendenze del cambiamento artistico degli anni Sessanta, caratterizzate dal raffreddamento gestuale ed emotivo e dalla tendenza verso un’arte impersonale che è anche reazione alla guerra in Vietnam. Incontriamo dunque artisti come Frank Stella, Donald Judd, Robert Morris e molti altri. Nella quinta sala (No more boring art: Bruce Nauman), incontriamo la figura di Bruce Nauman: artista sviluppatosi in contemporanea alla diffusione della Pop Art, del Minimalismo, del Process Art e dell’Arte concettuale, si confronta con tutti i movimenti senza perdere di vista la propria specificità. Seppur avendo vissuto in isolamento, è ancora riconosciuto come l’artista più influente degli ultimi cinquant’anni. La sua lunga carriera è qui racchiusa in una videoinstallazione composta da quattro scene. Nella sesta sala (No more boring art: John Baldessari) troviamo John Baldessari, artista concettuale più influente degli Stati Uniti: egli utilizza tecniche e formati diversi tra loro, come libri, dipinti, installazioni, fotografie, video, sculture, cartelloni e opere pubbliche per un’arte segnata dall’ironia, dall’irriverenza e dalla sperimentazione continua. Biographies è il titolo della settima sala, in cui spiccano artisti come il celebre Robert Mapplethorpe, e ancora Felix Gonzales-Torres, Robert Gober e Jenny Holzer. Anni in cui si ha paura per la scoperta della malattia AIDS, anni di una politica caratterizzata dall’omofobia. Nell’ottava sala (From pictures to pictures) è evidente la generazione cresciuta negli anni Sessanta, immersa nel cinema, nella televisione, nelle riviste, nel mondo pop ecc. Così, tumulti sociali, lotte per i diritti civili, atrocità della guerra del Vietnam dominano la vita degli americani. Cindy Sherman, Richard Prince, Sarah Charlesworth, Barbara Kruger, Jenny Holzer e Sherrie Levine sono alcuni degli artisti presenti in mostra. More voices è la nona sala a), le cui opere affrontano questioni chiave intorno all’identità di genere e alla politica interna negli Stati Uniti in quel momento storico: razzismo, AIDS, femminismo e diseguaglianze economiche. L’esposizione apre le porte a Glenn Ligon, Lorna Simpson, Kerry James Marshall, Jimmie Durham, Hock E Aye Vi/Edgar Heap of Birds. More voices: Matthew Barney è la nona sala b), in cui emerge la figura di un altro grande artista degli anni Novanta, Matthew Barney. Nella decima sala, dal titolo Going West, la California è protagonista indiscussa: meta del viaggio alla base del “sogno americano”, la ritroviamo in svariate produzioni cinematografiche, ma anche in arte con John Baldessari, Mike Kelley, McCarthy, Simmons, Catherine Opie e Mark Bradford. Infine, nell’ultima sala: More voices: Kara Walker, si mette fine al vecchio millennio per dare spazio al nuovo. Per trattare di temi quali la schiavitù, le violenze fisiche e sessuali, le oppressioni, l’artista utilizza collage, installazioni, disegni e acquerelli, video, scenografie e marionette. L’uso della silohuette di carta ritagliata è, ad ogni modo, la cifra stilistica per eccellenza di Kara Walker.

Robert Mapplethorpe (New York 1946 – Boston, Massachussets 1989) “Self-Portrait”, 1980, stampa alla gelatina d’argento, edizione: X.B. da una edizione di 15, cm 50,8 x 40,6.
Minneapolis, Walker Art Center. Dono Robert Mapplethorpe Foundation, Inc., 2005
American Art 1961-2001 from the Walker Art Center of Minneapolis consolida la ricerca di Palazzo Strozzi sull’arte moderna americana, chiudendo la trilogia di esposizioni dedicate a momenti centrali della storia artistica degli Stati Uniti d’America. Infatti, le due rassegne precedenti (Americani a Firenze – 2012 e La grande arte dei Guggenheim – 2016), sottolineavano i rapporti tra cultura europea e americana, soprattutto a vantaggio della prima.
La mostra attualmente in corso è promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze e Walker Art Center, Minneapolis. Tra i sostenitori della Fondazione Palazzo Strozzi, si ringraziano: Comune di Firenze, Regione Toscana, Camera di Commercio di Firenze, Fondazione CR Firenze, Comitato dei Partner di Palazzo Strozzi, Intesa Sanpaolo. Premium sponsor: Gucci; con il sostegno di Enel.
Foto di: Hubbinar